21/12/12

Ventiquattro

Quello che mi ha sempre tenuto lontano dagli ambienti cattolici, benché nato e cresciuto in cattolicissime terre, è il loro sostanziale allontanamento dagli aspetti negativi del mondo. καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν, e non ci indurre in tentazione, recita la preghiera insegnata da Cristo.
 
Il perché è chiaro: è facile comportarsi rettamente quando si è lontani dal pericolo che le nostre azioni abbiano esiti turpi. Facile non farsi travolgere dal desiderio di beni materiali, quando si sceglie di vivere in povertà. Facile non farsi travolgere dalle passioni, quando si decide di stare lontani dalle donne. Facile essere santi, quando si decide di smettere di vivere come uomini.
 
Ma dall'altro lato, se non si vuole star lontani dalle tentazioni, è davvero difficile non diventare loro schiavi. Difficile non cedere al desiderio di denaro, o di vestiti, o di auto. Difficile non cercare continuamente sesso e piaceri.
 
Ma per me la via facile non porta a nulla. Non mi interessa la santità. Non mi interessa chi si tiene lontano dallo sporco per apparire candido in vesti candide. Facile avere la faccia pulita se non ti rotoli nel fango. Ma disprezzo chi gode nello sguazzare nei liquami.
 
Veramente vale chi è stato messo alla prova. Chi è caduto nello sporco e si è lordato e non si è trovato bene e si è rialzato e non può più dirsi pulito e non si mischia a chi sta nel fango.
 
Chi non si sporca mai è un angelo, chi grufola nella melma è una bestia. Ma chi ha il coraggio di entrare nella melma ed uscirne può dirsi uomo. Gli angeli stanno bene in cielo, le bestie nella stalla. Gli uomini possono camminare a testa alta in mezzo ad altri uomini.
 
Non mi fido di chi si presenta immacolato. Disprezzo chi si rotola nel fango. Ma sorrido a chi è stato gettato nello sporco e ne è uscito.  
 
εἰσενέγκῃς ἐμέ εἰς πειρασμόν: inducimi in tentazione, perché solo così potrò sapere se sono un uomo o una bestia. Se non mi indurrai in tentazione, crederò di essere un santo anche se sono una bestia.

24/10/12

Ventitré

Un'anonima commentatrice nel post precedente mi ha chiesto qualche spiegazione in più e sento che le risposte che ho dato non sono sufficienti, così ho pensato di scrivere un post.

Da quando sono ragazzo ho sempre cercato di impostare la mia vita su tre punti fermi: onestà, coerenza e onore (a 18 anni chiaramente non usavo queste parole, ma fa lo stesso). Ho sempre fatto in modo, qualunque idea mi passasse per la testa, qualunque cosa facessi, di non venire mai meno a questi punti. 

Onestà: non cercare mai una scorciatoia, avere sempre un comportamento cristallino, mai, mai e poi mai fare il furbo, cercare di sgattaiolare in mezzo agli altri.

Coerenza: perfetta corrispondenza tra parola e azione. Fare sempre quello che si dice, finché sia chiaro che la tua parola vale, perché si fonda su azioni corrispondenti alla parola.

Onore: affronta ogni situazione, soprattutto quelle difficili, in modo da non doverti mai vergognare di quello che hai fatto. Spezzati, ma non piegarti.

Questi sono stati i miei comandamenti, che potrei riassumere con la frase "anteponi il giusto all'utile, sempre". Questa è la persona che ho cercato di essere. Ci sono sempre riuscito? No, perché siamo uomini e la perfezione non esiste. Ci poniamo un ideale di condotta e cerchiamo di perseguirlo, ma sappiamo già che non riusciremo a realizzarlo sempre e del tutto.

Sono un modello da imitare? Mi sento una persona migliore delle altre? No, se qualcuno cerca delle persone migliori a cui ispirarsi, dovrebbe parlare con chi fa assistenza ai malati terminali di cancro, gratis nel tempo libero in cui non sta cercando di pagare l'affitto. Quelle sono persone migliori e di fronte a loro io sono una nullità.

A metterla così, per iscritto su un blog, sembra fichissimo. Sentite come suona bene? "Onestà, coerenza e onore". Potrei quasi innamorarmi di me stesso. Ma poi c'è quella cosa che gli anglofoni chiamano reality check. Cioè, quando si passa dalla teoria alla pratica, cosa succede sul serio?

Succede che quando sei onesto, coerente e onorevole, diventi anche estremamente fastidioso per chi ti sta intorno, perché la maggior parte delle persone non ci pensa nemmeno ad anteporre il giusto all'utile. La maggior parte dei rapporti umani si fonda sul compromesso con se stessi, sul cercare la via facile e sbrigativa e, in ultima analisi, sull'accettare i pessimi comportamenti altrui per fare in modo che gli altri accettino i propri pessimi comportamenti. 

La leggenda narra che per entrare in certe logge massoniche uno dei riti di iniziazione consista nel commettere qualche atto spregevole. In questo modo tutti i membri della loggia hanno qualche cosa da nascondere e il singolo non si metterà mai contro la loggia per paura che il suo segreto venga svelato al mondo esterno. Non so quanto ci sia di vero nella leggenda, ma il meccanismo psicologico che ne sta a fondamento è verissimo. 

Fuori dalla loggia, per così dire, è più facile frequentare persone che si comportano con poca onestà o coerenza, per un motivo molto semplice: essere disonesti è più facile dell'essere onesti, ed essere incoerenti è dannatamente più facile di essere coerenti. Seguire l'utile è la via naturale, seguire il giusto è una scelta che ha un costo. Ma se io frequento persone incoerenti, non percepirò il pericolo che loro poi vengano a rinfacciarmi l'incoerenza. Al massimo si arriverà ad accusarsi di incoerenza a vicenda, ma questa è un gioco a somma zero. Se io accuso te di incoerenza e tu accusi me di incoerenza, alla fine saremo tutti e due convinti di aver ragione e non metteremo in discussione il nostro modo di agire. E quindi posso perseguire la strada più facile anziché quella più difficile.

Ma quando ci si trova fronte una persona realmente coerente, il meccanismo salta e il gioco non è più a somma zero. Se io incoerente accuso un coerente di incoerenza, so già di perdere, perché la mia accusa è falsa e lui mi accuserebbe di incoerenza e avrebbe ragione, quindi dovrei ammettere di essere incoerente.

È come se in una città tutti girassero con la pistola. Siccome tutti hanno la pistola, si arriva ad un punto di equilibrio per cui tutti sono potenziali assassini, ma si trattengono perché sanno che in qualsiasi momento potrebbero diventare cadaveri. Se in questa città un giorno apparisse qualcuno senza pistola ma con il giubbotto antiproiettile, l'equilibrio salterebbe e il tizio col giubbotto sarebbe cacciato dalla città.

Ecco, io sono sempre stato un elemento di disturbo. Perché apparentemente sono una brava persona, non faccio male a nessuno, ma in realtà non sto al gioco cui tutti gli altri giocano. E quindi vengo guardato con sospetto. Non sono ricattabile, non mi piego alla logica della maggioranza, tiro dritto per la mia strada e non sono quindi addomesticabile. 

In tutta onestà credo di avere qualcosa che non va a livello psicologico. Per esempio è dimostrato che all'interno di una massa di persone, il QI dei singoli si abbassa e i comportamenti vengono guidati più dai voleri della massa nel suo complesso che dalla volontà degli individui; in un certo senso il singolo si "scioglie" nella folla e diventa parte di essa. È il motivo per cui ai concerti si percepisce l'atmosfera particolare e ci si lascia andare. Ecco, per esempio, io non sono mai stato capace di provare questo tipo di sensazioni ad un concerto. Io vado lì, sono in mezzo alla gente, la musica mi piace, ma non riesco a perdere coscienza di me, a diventare tutt'uno con il resto degli spettatori. Mi sento sempre io, in mezzo ad un sacco di altra gente che fa cose strane solo perché è davanti a un palco e poi quando la musica è finita smette.

Allo stesso modo non sono mai riuscito ad entrare a far parte dei giri di amici maschi. Si sa, quando si è giovani nei gruppi si fanno cose stupide, che sono stupide ma fanno parte del processo formativo dei maschi, cementano i rapporti tra individui e servono allo sviluppo emotivo e mentale. Io invece non sono mai riuscito ad entrare in gruppo, perché quando si cominciavano a fare le cose stupide, io lasciavo perdere perché appunto erano stupide. Cioè non era la voglia di essere contro corrente rispetto a quel gruppo, era semplicemente che non capivo come mai si dovesse fare una cosa stupida... voi fareste mai una cosa stupida solo per ridere? No, perché sprecare tempo a fare cose senza senso? E quindi poi immancabilmente rimanevo escluso dal gruppo, che pensava che io non ne volessi far parte, o qualcosa del genere.

Forse io non ho sviluppato i meccanismi psicologici che fanno in modo di "entrare" in un gruppo, ho un senso del sé troppo sviluppato e quindi non riesco a far entrare il mio io all'interno di una rete di rapporti. Potrebbe essere.
 
Così per molto tempo l'essere sistematicamente escluso mi ha fatto soffrire. Soprattutto perché affrontavo il problema dalla parte sbagliata. Mi dicevo che se mi escludevano era perché non ero abbastanza onesto, coerente, onorevole. Confondevo le mie aspettative riguardo a me stesso con le aspettative che gli altri avevano. E più mi sforzavo di migliorarmi secondo i miei standard, più mi allontanavo dai loro.
 
A questo punto potrebbe sembrare di stare a leggere la biografia del superuomo di Nietzsche, ma non è così. Benché risoluto nei miei propositi, sono sempre stato una persona relativamente fragile. Ed infatti la disciplina morale che mi imponevo ha dovuto convivere con depressione, disturbi alimentari e un sacco di altre cose poco piacevoli.

Cosa c'entra tutto questo con il post precedente? C'entra, perché per anni non ho mai capito se stavo facendo le scelte giuste. Il feedback che ricevevo era sempre negativo: chi mi stava attorno o si teneva lontano o, al massimo, mi diceva che ero troppo rigido, che non cercavo il compromesso. Mi sono sempre sentito dire che ero sbagliato e che non andavo bene. Non è mai capitato, non una volta, che qualcuno mi dicesse "mi piaci perché hai la schiena dritta, perché sei coerente". Ma ho tenuto duro, ho mantenuto fede ai miei comandamenti e ho accettato di pagarne il prezzo. Però ho sempre avuto la sensazione di essere sbagliato, di non andare bene e quindi avevo questa insicurezza di fondo che pesava tanto sullo stomaco.

Quello che nell'ultimo anno è cambiato è che mi sono reso conto che tutti questi anni in cui non ho mai scelto la via più facile, ho sempre evitato le scorciatoie, mi hanno preparato a quello che sarebbe venuto in futuro. Ora che sono un uomo e che vivo nel mondo vero, dove i problemi sono reali e non si possono più schivare, non ho alcun problema ad affrontarli. E invece tutti quelli che una volta mi dicevano che ero troppo serio, che ero troppo rigido, che non cercavo il compromesso, adesso passano le giornate a farsi a prendere a pugni dalla vita e non sanno che fare.

Quando l'anno scorso la mia fidanzata mi ha messo di fronte ad una scelta, per cui io sarei dovuto diventare quello che lei voleva oppure mi avrebbe lasciato, non si è resa conto che questo ricatto con me non poteva funzionare: a me non fa paura rimanere da solo, perché ci sono abituato. La prospettiva di rimanere da solo non mi spaventava, sapevo benissimo cosa fare della mia vita senza di lei. Con lei ci stavo perché ero innamorato, perché volevo condividere spazi e progetti e non perché mi serviva per riempire i vuoti e compensare le mie insicurezze. Quando mi ha ricattato, per il fatto stesso di avermi ricattato, ha dimostrato di non voler stare con me, ma che le servivo per soddisfare certe sue necessità (avere un figlio, avere un sostegno per le sue insicurezze). E quello io non lo chiamo amare, lo chiamo usare.

Così l'ho lasciata andare. Potevo salvare il rapporto, potevo scegliere la via facile, potevo scendere a compromessi con me stesso, ma per me è stato del tutto naturale scegliere la via giusta, accettare che il rapporto non si fondasse più sulle giuste premesse e lasciare che entrambi andassero per la propria strada. E quando è successo, tutti si sono stupiti di quanto fossi stato forte e bravo, mi ammiravano per aver avuto il coraggio di fare la scelta che era, anche per loro, quella più logica e giusta. Invece per me è stata una scelta normale, come infinite altre che ho fatto dai tempi del liceo.

Significativamente nessuna di queste persone si è particolarmente preoccupata per me, perché nella loro visione il fatto di aver fatto la scelta giusta ed aver reagito fermamente alla situazione non ha comportato sofferenza. Invece è tutto il contrario: le scelte giuste sono le più dolorose e quella scelta, giusta, mi è costata tanto dolore. E sono consapevole che è costata tanto dolore anche a lei e ora convivo con la consapevolezza di averla fatta soffrire.

Ma se avessi scelto altrimenti, avrei preso la strada facile. Sarei rimasto con lei, per viltà, per quieto vivere, per abitudine. Ma stare con lei per questi motivi sarebbe stata la più grande mancanza di rispetto nei suoi confronti, e io non contemplo di venire meno ai miei comandamenti.

Nel corso di quest'anno ho conosciuto altre persone e mi sono trovato spesso, due volte in particolare, di fronte al medesimo ricatto: o facevo come dicevano loro, o sarei rimasto da solo. E lì ho capito. Che tutte queste persone si frequentano, si dicono amici, solo per paura di rimanere da soli. Diventa difficile per loro affrontare qualcuno che non cede al ricatto, perché quello è l'unico perno su cui far leva nella loro vita. Tolto il fulcro, casca tutto.

In quest'anno in cui mi sono messo in discussione, ho compreso i motivi del mio perenne conflitto con gli altri. Soprattutto ho visto che la differenza tra me e loro è una sola. Io, quando loro si divertivano e facevano la bella vita, quando mi accusavano di essere troppo intransigente e troppo serio, mi sono preparato per la vita adulta; oggi, passato il tempo di divertirsi, oggi che la vita ti mostra la faccia dura, io la affronto con serenità, mettendo tutto nella giusta prospettiva, e loro invece non sanno da che parte voltarsi. La maggior parte delle persone che conosco continua ad affrontare la propria esistenza nell'unico modo che conoscono: sfuggendo alle responsabilità, cercando di evitare le conseguenze delle proprie azioni, vivendo come degli eterni adolescenti.

Solo che il tempo in cui a comportarsi così in qualche modo la si faceva franca è passato. E così loro sono invischiati in relazioni malsane da cui non si possono togliere per paura di rimanere soli; probabilmente si troveranno a 40 o 50 anni da soli lo stesso, perché certi esiti sono inevitabili, e allora ci sarà poco da fare. Si trovano a non essere capaci di stare in un posto di lavoro, perché non sono mai stati abituati a seguire il dovere a scapito del piacere immediato.

Io invece ho passato qualche anno duro, ma da ora in avanti mi godrò la vita nel senso più vero e profondo. Io adesso vivo, non mi lascio vivere; sono quello che volevo essere, non quello che gli altri si aspettano che io sia; non dipendo da nessuno; sul lavoro non ho problemi ad affrontare capi stronzi e colleghi infami, perché non sono ricattabile, non ho mendicato per avere il posto e non ho fatto il furbo alle spalle di qualcun altro.

Insomma, adesso sono sereno, perché in un mondo di gente con la pistola, io me ne vado in giro disarmato e col giubbotto antiproiettile: non diventerò mai un assassino, ma non riusciranno nemmeno a farmi fuori.





 

13/10/12

Ventidue

Ai miei pochi lettori credo sia abbastanza chiaro che l'ultimo periodo è stato particolarmente difficile per me. Una serie di fattori coincidenti hanno sbattuto contro la mia vita e mi sono trovato a dover pensare e riflettere se l'intero percorso fatto finora era giusto o sbagliato.
 
Insomma, mi sono trovato a chiedermi se ad oggi ho fallito su tutta la linea o se ho fatto quello che era giusto fare. Ho voluto farmi questa domanda, mettermi in dubbio completamente, e nella ricerca di una risposta mi sono perso per molti mesi.
 
Gli è che io, quando qualcosa va male, divento spietato giudice di me stesso. Istruisco un processo senza difesa e vado avanti finché serve, finché non c'è più niente da analizzare, tutte le carte sono in tavola e la sentenza è pronta ed ineludibile.
 
Sono andato avanti così per più di un anno, un anno di lacrime e sangue (vere le prime, figurato il secondo), in cui mi sono messo alla gogna e mi sono forzato di tirare fuori tutto. Ma ora il processo è finito. Perché mi sono infine fatto la domanda giusta:
 
Sono diventato l'uomo che avrei voluto diventare?
 
E la risposta è sì. Sono quello che avrei voluto essere quando ero ragazzino e quello che avrei voluto essere quand'ero un giovanotto inesperto. Ho vissuto secondo i valori che mi ero imposto di seguire, ho raggiunto gli obiettivi che mi ero prefisso e nel percorso ho superato situazioni che erano potenzialmente distruttive.
 
Ho fatto un sacco di errori, questo sì. Mi rendo conto che tante scelte sono state sbagliate, ma sono pronto ad accettare gli errori e sto pagando in prima persona. Non ne attribuisco a nessuno la responsabilità e non mi faccio piegare dagli errori. Li custodisco e li tengo quale monito a non ripeterli in futuro.
 
So di essere imperfettissimo, ma ora so dove lo sono e perché. E ora che so per certo quali sono i miei difetti, ora che so quali sono i miei problemi, ora che li ho accettati, mi sento forte come non mi ero mai sentito prima. Ed è strano, perché non mi sono mai sentito forte in vita mia, ma ora ho acquisito questa sorta di calma interiore che mi fa sentire saldo al terreno, inamovibile al vento e alle onde di burrasca.
 
E mi fa sentire così bene...

02/10/12

Intermezzo musicale



Tainted love

A volte sento che devo scappare
andarmene
dal dolore che mi metti nel cuore
Il nostro amore
non sembra andare da nessuna parte
E ho perso la ragione
perché mi agito e mi giro, non dormo la notte

Una volta correvo da te
ora corro via da te
Questo amore guasto che mi dai
Ti do tutto quello che un ragazzo può dare
Prendi le mie lacrime e non è nemmeno tutto
Oh... che amore guasto
che amore guasto

Ora so che devo 
scappare, che devo
andarmene
Non lo vuoi veramente il mio amore
Per funzionare
ti serve qualcuno che ti tenga a bada
E penserai che l'amore sia pregare
ma mi dispiace io non prego in quel modo

Non toccarmi
non sopporto il modo in cui mi provochi
Ti amo però così mi ferisci 
Adesso faccio le valige e vado
Amore guasto, amore guasto
Toccami, tesoro, amore guasto

01/10/12

Ventuno

Al mondo ci sono quelli vincenti, quelli che hanno l'atteggiamento giusto, che sanno essere positivi e propositivi. Sanno trarre il meglio dalle situazioni e non si fanno scalfire dalle avversità.

Purtroppo ci sono i perdenti, per colpa della sfortuna, degli eventi, del proprio porsi nei confronti della vita. Succede.

E poi ci sono quelli come me. Che non sono vincenti, ma non sono neanche perdenti. Sono quelli che semplicemente non mollano mai, e quando riescono a non mollare abbastanza a lungo, sono gli ultimi a rimanere e vincono.

Ché io lo so di non avere l'atteggiamento giusto, e poi c'è il costante senso di inadeguatezza e il senso di colpa per tutto. Ma mi venisse un accidenti se mollo. Mai. Picchiatemi, insultatemi, scoraggiatemi, fatemi male, se vi pare. Tanto io non mollo, mai, fino alla fine.

C'è chi nasce cavallo da corsa. Io sono nato mulo. Testa bassa, schiena carica e via a far fatica.

29/09/12

Venti

Non conosci davvero qualcuno finché non ci combatti.
Seraph - The Matrix Reloaded       



La prima volta che ho sentito questa frase ho pensato "bella cazzata". Col tempo però ho capito che è una frase molto, molto saggia, soprattutto se intesa in senso più ampio, non solo di scontro fisico. Ma è sul ring, con lo scontro fisico, che l'ho imparato.

Affrontare fisicamente un avversario è un'esperienza che spazza via in un momento tutte le sovrastrutture che ci creiamo. Psicologicamente ha un impatto fortissimo che spoglia di ogni orpello e mette a nudo l'io più profondo e istintivo. Poiché non è più possibile, come si fa fuori dal ring, evitare, mediare, mentire a se stessi, la mente si resetta, mentre lo stress e la paura mettono a tacere tutte le inibizioni che normalmente si hanno e lasciano via libera a quello che c'è dietro quelle inibizioni.

E si capisce di che pasta si è fatti e di che pasta siano fatte le persone. Per la mia esperienza, la maggioranza delle persone agisce in base a due regole:

1. sopravvaluta la durezza dei colpi ricevuti e minimizza la durezza dei colpi inferti
2. è forte con i deboli e debole con i forti

Sia chiaro che non mi riferisco ad agonisti di buon livello o a professionisti. Per queste persone la componente emotiva della lotta perde progressivamente valore e viene sostituita dall'abilità, dalla tecnica, dall'intelligenza. Ma per chi combatte per le prime volte oppure in maniera del tutto amatoriale, l'emotività sta alla base dell'azione.

Tipicamente chi è agli inizi ha paura. E la reazione alla paura, nella maggior parte dei casi, è cercare di colpire fortissimo con il maggior numero di colpi possibile. Se mettete due principianti nel ring, dopo qualche secondo li vedrete menare colpi alla cieca, senza preoccuparsi di proteggersi o di non far male all'avversario. Dopo qualche decina di secondi entrambi saranno esausti e non avranno procurato particolari danni.

Se una persona considera l'avversario inferiore, si può star certi che cercherà di colpire forte, molto forte. Se considera l'avversario superiore, farà di tutto per minimizzare lo scontro e i colpi saranno più deboli, perché sa che colpire forte provocherebbe una reazione dell'avversario.

Siccome in palestra le donne, essendo di solito minoranza, devono combattere contro gli uomini per imparare, è interessante vederle in azione. Le prime volte non tenteranno nemmeno di dare un buffetto all'uomo. La reazione è naturale: l'istinto primario della donna è quello di evitare a tutti i costi lo scontro fisico con l'uomo, perché è perso in partenza. Quando poi capisce che può portare i colpi senza paura di venire pestata, perché gli uomini di certo non se ne approfittano, allora sì che comincerà a mollari sganassoni fortissimi e posso assicurare che bisogna starci attenti.

Ma mettete due donne a combattere insieme, e allora sì che vedrete le botte serie. Due donne sul ring sono uno spettacolo che non capita spesso di vedere, ma di certo se qualcuno pensa che siano gli uomini i violenti, dovrà cambiare idea. Come si picchiano due donne, non si picchia nessuno. Parola.

E io? Io quando combatto sono naturalmente propenso a tenere il livello dello scontro basso, mi piace concentrarmi sulla tecnica, migliorare la tattica e evitare di farmi male inutilmente (non sono un agonista, non ho nessuno vantaggio a mettere KO qualcuno o a farmi tagliare la faccia). E agli inizi avevo - come tutti - paura dei colpi, così il mio atteggiamento era "vedi, io non meno forte, non menare forte nemmeno tu".

Peccato che questo atteggiamento venga sistematicamente mal interpretato come un segno di debolezza e quindi più io cercavo di mantenere lo scontro tranquillo, più gli altri aumentavano l'intensità. All'inizio non sapevo bene come reagire e diventavo remissivo, evitando gli scontri e incassando più o meno bene i colpi più forti. Ma poi ho capito. Quando qualcuno comincia a pestare, bisogna pestare più forte. Quando l'avversario si prende due o tre bei cartoni sulla faccia, immediatamente abbasserà il livello dello scontro e ci penserà due volte prima di venirvi addosso alla cieca.

La situazione tipica è quella dello sparring. Per scelta io comincio sempre molto tranquillo, per i motivi che ho detto. Il mio avversario comincia a menare colpi molto forti e magari anche a caso. A questo punto rispondo con una lunga combinazione di colpi forti e mirati, in modo che l'altro si ritrovi per qualche secondo a non capire più da dove arrivino, ma a rendersi conto che sta per farsi male. Da quel punto in poi si calmano tutti. Spesso si lamentano che meno troppo forte, al che rispondo semplicemente "hai cominciato tu", allargando le braccia come a dire... non ci posso fare niente... e piagnucolano, ma non me ne preoccupo perché la mia preoccupazione è tutelarmi, non prendermi cura dei sentimenti offesi di chi mi mena.

Quando ho razionalizzato questi comportamenti, mi sono immediatamente reso conto che le stesse situazioni si presentavano nella vita di tutti i giorni. Per natura evito lo scontro e per anni sono rimasto sbalordito quando avevo qualche problema con qualcuno per quanto si accanissero contro di me. Più io cercavo di abbassare il livello di aggressività, più loro lo alzavano, mentre io diventavo remissivo e infine, poiché nella vita si può, lasciavo perdere.

Il mio atteggiamento veniva percepito come sintomo di debolezza e allora gli attacchi si facevano sempre più forti, finché io mollavo perché non capivo il senso di tutta quella violenza. Allora ho provato a cambiare. Mi son detto, proviamo a fare come nel ring. E funziona.

Oggi se mi capita di avere uno scontro con qualcuno, mi comporto come quando faccio sparring. Cerco di mantenere il livello dello scontro basso, perché, se allo scontro ci si è arrivati, non vuol dire che bisogna farsi male a vicenda. Se l'altro capisce, bene... se inizia ad approfittarsene perché pensa che non ci saranno conseguenze, rispondo colpendo più forte. E funziona.

Per come la vedo io, quando due persone litigano si comportano come due principianti sul ring: menano come matti alla cieca finché non restano senza fiato, senza che nessuno dei due ottenga alcun risultato particolare, se non qualche livido di poco conto.

Quando qualcuno litiga con me, di solito fa lo stesso: arriva di corsa menando colpi. Solo che mi sottovaluta. Uno dei tanti vantaggi di essere empatico è che, oltre a capire facilmente le persone, so anche come far loro male. Così dopo che si è sfogato con tutta la rabbia che aveva in corpo, si accorge con stupore che non mi ha fatto niente e, dopo, si vede arrivare addosso la risposta, con gli interessi. Ormai è da qualche tempo che quando qualcuno decide di caricarmi a testa bassa si trova un sacco di lividi in faccia.

Personalmente non giudico le persone per quello che mi fanno. Tutti possiamo sbagliare, tutti possiamo ferire qualcuno avendo agito con le migliori intenzioni. Però valuto le persone da come si comportano nello scontro che ne segue.

Se vedo che nello scontro cercano di farmi male, io faccio loro tanto, tanto male. Se vedo che nello scontro cercano solo di far valere le proprie ragioni e di spiegarmi il loro punto di vista, già solo per quello sono pronto a stringere loro la mano.

Mi è già capitato di scontrarmi con qualcuno a causa di comportamenti miei. Dopo essermi scusato ed aver ammesso l'errore, dopo aver abbassato la guardia per stringere la mano, l'altro ha provato a colpire ancora e ancora e ancora. E lì ho capito che questa persona semplicemente non valeva il tempo e la fatica che le stavo dedicando.

Ma mi è anche capitato di scontrarmi con qualcuno e avere visto come si è comportato e alla fine di stimarlo molto più di prima. Perché se quando sei incazzato nero mantieni il rispetto di chi ti sta di fronte, probabilmente manterrai quel rispetto sempre.

La mia regola è: evita lo scontro a tutti i costi. Se arrivi allo scontro, comportati con lealtà e rispetto. Se l'altro cerca di farti male, hai il diritto di difenderti e metterlo al tappeto.

25/09/12

Diciannove

Perché c'è che fino al giorno prima eri solo un ragazzino fragile, che stava chiuso in casa a leggere Kafka mentre gli altri si ubriacavano e scopavano. C'è che eri da solo perché nessuno pensava che avessi bisogno di una mano. Tutti pensavano che fossi forte, maturo, serio. E così tua madre ti confessa di volersi suicidare e la realtà diventa trasparente, senza consistenza, e non sai più cosa sia vero e cosa sia falso.

Vieni a casa da scuola e non pensi a che bugie inventarti per un brutto voto, ma fai un giro velocissimo col cuore in gola per accertarti che tua madre non sia morta. Un giorno dopo l'altro, per settimane, finché ti convinci che forse era una cosa detta così, ma non pensata veramente. E quando ti sei tolto, almeno per quel giorno, il pensiero, cominci a pensare a tuo padre che viene a casa, e non sai se sia meglio quando non dice niente e si tiene tutto dentro o quando ti copre di insulti ma almeno sai come la pensa.

E non sai cosa fare, cosa pensare, non sai cosa devi provare. Cosa ne sai di come ti devi sentire, chi te l'ha spiegato? Non sai niente, sai solo che tutto può sparire in un momento, che in un attimo tutto quello che sai diventa falso, e quello che non avevi mai pensato diventa vero.

E poi il giorno dopo ti accorgi che - mentre pensi ancora di essere quel ragazzino che non sa niente - parli con qualcuno e ti senti dire che sei saggio, fai due chiacchere con qualcun altro con pochissimi anni meno di te e ti senti dire che sei come un padre. Ti rendi conto che ora sono gli altri che non sanno, e tu invece sai perché ci sei già passato. Ti accorgi che sei diventato duro, mentre gli altri pensano che tu sia solido.

E ti accorgi che ancora una volta sei solo, perché adesso sei forte, maturo, serio e non è più tempo per ricevere aiuto.

18/09/12

Intermezzo musicale


The Weary Kind

Il cuore è impazzito
Hai giocato l'ultima mano senza aver niente da perdere
Non è un posto qui per chi è stanco

Hai chiamato tutti i colpi
Giocando a palla 8 al bar sulla strada
Qui non sembra più casa tua

E non è un posto qui per chi è stanco
Non è un posto per perdere la testa
Non è un posto per rimanere indietro
Raccogli il tuo cuore matto e provaci un'altra volta

Il corpo fa male
Mentre suoni la chitarra e traspiri odio
I giorni e le notti sembrano tutti uguali

Il whiskey è la tua dannazione
Non dimentica
La strada che richiama il tuo cuore

E non è un posto qui per chi è stanco
Non è un posto per perdere la testa
Non è un posto per rimanere indietro
Raccogli il tuo cuore matto e provaci un'altra volta

Il caldo bacio della tua amante
È così lontano dalle tue mani
Sei tu l'uomo che le ha rovinato il mondo

Il cuore è impazzito
Hai giocato l'ultima mano senza aver niente da perdere
Non è un posto qui per chi è stanco


14/09/12

Diciotto

Quand'ero ragazzetto guardavo gli adulti, specie i maschi, e mi piaceva il fatto che erano tutti così sicuri di sé, sapevano sempre cosa fare e cosa dire al momento opportuno. Si rompe un elettrodomestico? C'è un problema legale? La risposta arriva sempre. Perché loro sapevano.

Man mano che il tempo passava e io crescevo, non riuscivo ad avere la stessa sicurezza in me stesso. Si rompe un elettrodomestico? E ora cosa faccio? C'è un problema legale? Sono morto! La risposta giusta non arrivava mai. Perché io non sapevo.

Poi, quando sono diventato grande, ho capito che io ne so tanto quanto gli altri adulti, cioè poco e male di alcune cose, niente di tutto il resto. La differenza è che io lo ammetto di fronte a me stesso, gli altri no e sono dei gran cazzari di professione.

Ci sono alcuni ambiti che conosco bene (il lavoro, quello che ho studiato eccetera) e c'è tutto il resto riguardo a quale so poco, in maniera superficiale e sostanzialmente inadatta ad esprimere opinioni informate. 

Di quello che non conosco, non parlo; o perlomeno ne parlo ammettendo la sostanziale ignoranza. Di quello che conosco, parlo quando serve e senza mettermi in mostra.

Che è tutto il contario di quello che fa la maggior parte della gente. E non sarebbe neanche un problema, se non fosse che i cazzari sono molti e in un mondo di cazzari è il cazzaro a venir premiato. 

Tipo sul lavoro, mi esprimo quando serve e dando opinioni motivate. Di solito non vengo ascoltato, perché parlo poco e dico le cose che non vanno. Poi si fa in base a quello che dicono i cazzari, che parlano tanto e dicono che tutto va bene. Poi il lavoro va in merda e mi vengono a dare ragione.

Tipo con le donne. Io sono come sono, ma di certo non sono uno che si mette in mostra. Di solito le donne preferiscono a me i cazzari... anzi vi racconto una storia vera, che è una sola ma è esemplare. La mia prima ragazza seria mi ha lasciato per un altro. Ovviamente questo era sicuramente uno che la sapeva raccontare, al contario di me. Com'era prevedibile, dopo un paio d'anni si sono lasciati perché lei si è trovata con un palco di corna in testa grande così. Chi è stata la prima persona che ha chiamato per sfogarsi?

Sì esatto.

Prima regola per avere successo nel mondo: sparate cazzate, sparatele grandi e sparatele spesso. La gente adora farsi prendere per il culo, non chiedono altro.

11/09/12

Diciassette

Io non so bene cosa facciano gli uomini a letto, ma un po' lo capisco da come si comportano le donne quando vengono con me. Perché se quando vengono a letto con me si comportano in un certo modo, da qualche parte devono aver imparato e io di riflesso imparo cosa vogliono gli altri uomini.

Dunque, gli uomini devono essere ossessionati dalla vagina. Non dal sesso, o dalle donne, ma dalla vagina in quanto parte anatomica. E sono ossessionati dall'idea di mettere il proprio pene nella vagina di una donna. Che non è sesso, è mettere il pene nella vagina. Per arrivare a questo glorioso risultato, sono disposti a tutto.

Me ne rendo conto perché, ogni volta che frequento una donna, va tutto bene fino a che non si arriva al primo rapporto completo di penetrazione. A quel punto, la donna indossa degli anfibi con la punta in ferro ed inizia a prendere a calci la mia vita e a pretendere che io cambi, che mi comporti così, che faccia cosà. Ma non lo aveva mai fatto prima della penetrazione, è questo il punto. 

E siccome io non sono ossessionato dalla vagina, di solito lascio perdere, perché per me una penetrazione non vale tutto lo sbattimento che si tira dietro. Cioè, io vengo con te, donna, perché mi piaci e sto bene in tua compagnia e di conseguenza anelo ad avere rapporti carnali con te. Ma se tu diventi un gendarme perché pensi (giustamente, visto che è quello che succede con gli altri) che la penetrazione sia il via libera per pretendere cose da me e dirmi come cambiare e come comportarmi, per me cade la ragione stessa di avere rapporti con te. Non mi interessa la tua vagina, che è uguale a tutte le altre e non ha niente di speciale, mi interessi tu e se tu diventi una palla, la tua vagina mi interessa meno che il barattolo di Nutella che non mangio da mesi.

Altra cosa di cui i maschi sono ossessionati è la fellatio. Buon Dio, quanto sono in fissa con il pompino? Malati per il pompino. Perché lo so? Perché quando ne ricevo uno, la donna si comporta come mi avesse fatto il più grande dono della storia dell'umanità. Ora non dico che non mi piaccia. Il sesso orale è bello, ma non è equiparabile alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ok, mi hai fatto un pompino, non mi hai salvato la vita mentre stavo annegando nel mare in burrasca. Di nuovo, io vengo con te perché sto bene con te, non per ricevere del sesso orale. E soprattutto, donne, un pompino lo dovete fare solo se vi piace, non per fare contento il vostro uomo. Io il cunnilingus lo faccio perché mi piace, ma non è che mi sento il salvatore del mondo dopo averne fatto uno.

E infine, le tette. Sei lì che cerchi di creare l'atmosfera giusta, di trovare le parole giuste, di muoverti nel modo giusto... e non ci riesci perché lei cerca in tutti i modi di metterti le tette in faccia, ti prende le mani e te le mette sulle tette, ti prende la testa e te la mette tra le tette, vede il pisello e ci butta le tette sopra. Santa Maria, ho capito che hai le tette, ma anche tu devi capire che io la prima tetta l'ho messa in bocca che avevo nemmeno un giorno di vita. Ci sono un pochino abituato, come dire... sì hai il seno. Benissimo, l'ho visto; fantastico, l'ho toccato. Ora possiamo procedere a divertirci insieme? Grazie.

Quindi, donne, se vi capita di cambiare uomo, assicuratevi su quali siano le sue ossessioni e solo allora potete cominciare a comandare nella sua vita. Perché anche io ho le mie, ma siete troppo impegnate a soffocarmi con le tette per rendervene conto. E poi non capite perché sparisco.

28/08/12

Sedici

Finita l'università e raggiunto un maggiore equilibrio, ho fatto la cosa che avrei dovuto fare finito il liceo: andarmene.

Ho girato, visto, imparato, scoperto, conosciuto. Pochi soldi in tasca e tanta voglia di vivere tutta la vita che avevo sprecato fino ad allora. Non sono mai stato felice come in quel periodo, soddisfatto ed appagato.

Nei miei giri ho conosciuto una ragazza, ci siamo messi assieme, poi ho trovato lavoro - più o meno serio - siamo andati a vivere insieme e abbiamo iniziato a progettare una vita con matrimonio e figli e tutto quanto.

Ad inizio dell'anno scorso ho perso il lavoro (che avevo da poco trovato dopo una serie di situazioni complicate). Mi sono trovato in una situazione difficile, pensavo al figlio che volevamo avere, alle cose che non potevo dare alla mia lei. Ho cercato di reagire, non sono stato con le mani in mano ad aspettare niente, però il morale era basso e ho cominciato a percepire l'insofferenza della mia ragazza. 

Dopo due o tre mesi da disoccupato ho accettato un lavoro di cui non ero pienamente convinto, ma l'ho fatto per senso di responsabilità verso il futuro che avevo promesso a lei. 

Una settimana dopo aver cominciato a lavorare mi ha lasciato. Quei pochi mesi in cui sono stato in difficoltà le hanno fatto dimenticare tutti gli anni precedenti, tutte le volte in cui io le sono stato vicino quando lei stava male (quasi ogni giorno, in certi periodi). Mi ha detto di non poter immaginare di passare una vita con me, che non ero più la persona che aveva conosciuto. Per dirla tutta, mi ha messo di fronte ad un ultimatum: o torni felice e sereno come eri prima, o ti mollo. 

Io ho scelto. Ho scelto di lasciarla andare, perché gli ultimatum non mi piacciono, perché se dici di amare qualcuno lo dimostri quando quel qualcuno sta male, non solo quando è lì per sostenerti.

Mi ha accusato di essere io quello che voleva lasciarla, perché non ho fatto niente per trattenerla, perché non ho combattuto per stare insieme a lei che aveva minacciato di lasciarmi. Mi dispiace, ma io le mie battaglie le scelgo accuratamente e aver paura di non essere infelice perché altrimenti tu mi molli non è nemmeno una battaglia, è fare la parte del burattino.

Così da un anno e qualche mese mi sono ritrovato da solo, con i progetti che avevo andati in fumo e - stranamente - anche con la voglia di ricominciare. 

Ho scoperto un sacco di cose, ho scoperto che quando le cose vanno male la ragazza ti molla, e allora le cose vanno un po' peggio, e scopri che gli amici, quando le cose vanno male, non hanno tanta voglia di starti a sentire e un po' se ne fregano.

Ho scoperto che sono in grado di uscire da certe situazioni da solo, che so fare le scelte giuste, che sono un coglione per tante cose ma che non sono nemmeno il peggiore in circolazione.

I problemi di lavoro e d'amore mi avevano riscatenato i problemi col cibo. Avevo ricominciato a ingozzarmi. Avevo smesso di fare sport per qualche anno ed ero lievitato di nuovo, come ai tempi peggiori. Be', signori, ho scoperto che sono stato in grado di uscire anche da quello, dal mio rapporto malsano col cibo che avevo da quando ho ricordi. 

A gennaio del 2011 portavo una XL; sabato sono andato a fare compere e mi sono comprato una S.

Sto sul cazzo praticamente a tutti, ma sapete che vi dico? Che devo imparare a fregarmente anche di quello.

26/08/12

Quindici

Dunque, ricapitolando... nell'ultimo anno abbondante:

  • la ragazza mi ha mollato perché ha detto che non poteva pensare di passare tutta la vita con una persona come me.
  • un'amica non mi vuole più vedere e l'ultima volta che ci siamo sentiti per parlare mi ha ricoperto di insulti.
  • un mio amico ha smesso di parlarmi ed è come se non esistessi.
  • ho creduto di aver trovato un'altra amicizia ma anche questa ha smesso di farsi sentire.
  • l'ultima persona rimasta che credevo amica preferisce frequentare delle nullità che la trattano come una pezza da piedi e sparlano di lei con gli altri.
Cristo, ma che grandissimo pezzo di merda devo essere?

01/08/12

Quattordici

Un'altra cosa che ho imparato crescendo e che mi ha aiutato a uscire dal buco in cui mi ero infilato è quanto le persone intorno trasmettano negatività. Negatività non è depressione o cattivo umore, ma l'atteggiamento che fa sempre dire "questo non si fa", "questo non lo so fare", "questo non fa bene", "quello lì ce l'ha con me"; è la tendenza a vedere il reale attraverso un filtro che fa risaltare gli aspetti peggiori e oscura quelli migliori.

Una volta presa coscienza di ciò, non sono più riuscito a non vedere questo atteggiamento nella gente. La maggior parte di noi si adatta a questo modo di fare (siamo pur sempre un animale sociale e tendiamo ad integrarci nel gruppo di appartenenza), alcuni reagiscono per contrasto, altri si fanno bloccare.

Io appartengo a quest'ultima categoria. Probabilmente a causa della mia attitudine ad interiorizzare  i sentimenti altrui, l'atteggiamento negativo entra dentro di me e mi blocca. Così ho deciso di evitare il più possibile le persone negative e, quando questo non è possibile, non ascoltare mai, per principio, chi dice "non si può fare" o "non funzionerà".

Così mi sono accorto che, per esempio, qualunque cosa fai sei costantemente assediato da una serie di commenti negativi. Quando ero grasso mi sentivo dire che non andava bene, che dovevo cercare di fare qualcosa, che non dovevo mangiare troppo eccetera. Quando alla fine sono dimagrito, sono cominciati ad arrivare i commenti "non dimagrire troppo", "adesso basta", "sei mingherlino".

Ora, se sapete quanto difficile sia per chi ha problemi a controllarsi col cibo dimagrire, potete anche capire che cominciare a vedersi gli addominali in rilievo è una grande soddisfazione. Non per la vanità di avere un bel fisico, ma per la consapevolezza di essere riusciti a prendere in mano la propria vita, aver affrontato una difficoltà che prima sembrava insormontabile e avere vinto.

Io non me la sono presa mai troppo quando facevano commenti sulla mia ciccia, perché in fondo lo sapevo che ingozzarmi di dolci mi faceva male e quindi sì, tutto sommato non potevo dire niente. Ma quando qualcuno mi dice che sono troppo magro giuro che mi incazzo come una iena e rispondo malissimo. 

Per quanto possibile cerco di stare vicino a persone positive, che hanno voglia di vivere, di fare, che non passano il tempo a lamentarsi di tutto, a dire che questo non va bene e questo non funziona. Appena sento qualcuno lamentarsi, dire che il lavoro fa schifo, gli uomini/le donne fanno schifo, la politica internazionale fa schifo, questo fa schifo, quest'altro fa schifo, mi allontano subito. Non do giudizi di valore su queste persone, che per lo più sono anche brave persone, oneste e ben intenzionate.

Ma sono, senza volerlo, tossiche. La loro negatività si trasmette agli altri e infetta tutti, me compreso. E io non voglio più che le mie giornate scorrano via rimuginando su tutto quello che potrebbe andare bene e che invece non va, voglio fare il possibile perché ogni sera possa dire "oggi ho fatto questo di utile" e magari è una cosa da niente, magari è solo un post in questo blog che non avevo tanta voglia di scrivere ma alla fine ce l'ho fatta, magari è la mia oretta di corsa che proprio non me la sentivo di uscire di casa però invece ho messo le scarpe e via a sudare.

Qualunque cosa, l'importante è che ogni giorno possa dire di aver fatto una cosa buona e non essermi lamentato nemmeno per pochi minuti.

28/07/12

Tredici

Con il tempo e con l'età naturalmente ho iniziato a capire anche un po' di più di me stesso e mi sono sorpreso a rendermi conto di un tratto della mia personalità a cui mai avevo pensato, ma che una volta individuato mi ha reso possibile spiegarmi molte cose. 

Io sono estremamente empatico. Cioè, non so se sia la definizione corretta, ma etimologicamente lo è. Vuol dire che quando sono con qualcuno entro in sintonia diretta con il suo stato d'animo e riesco a interiorizzarlo in maniera distinta. Ora una certa vulgata potrebbe far credere che sia una cosa bellissima, una persona che riesce a capire gli altri è rara a trovarsi e va considerata di gran valore.

In realtà, a viverla, non è così bello come potrebbe apparire, soprattutto quando non si è coscienti di essere empatici. L'empatia, almeno nel mio caso, non funziona come un generico "leggere la mente", in cui si osservano in maniera distaccata le emozioni di chi ti sta di fronte. Empatia significa provare a propria volta le emozioni che sta provando l'altro, senza avere alcun distacco da esse e senza alcuna soluzione di continuità con le proprie. 

Questo ha voluto dire che per molto tempo non sono stato in grado (e a volte non lo sono tutt'ora) di capire se le emozioni che provavo erano mie o dell'altro. La mancanza di distacco rende difficile interagire con l'altro: immaginate una persona triste che si confida con voi perché non sa cosa fare. Ebbene, io non sapevo mai cosa dire, perché parlandoci mi ritrovavo nella sua stessa condizione emotiva, compresa la difficoltà di sbrogliare la matassa. La maggior parte delle volte mi trovavo solo a pensare "sì, ti capisco, hai ragione e non so cosa dirti". Ed in più stavo pure male.

Se litigo con qualcuno, anche se sono convinto di avere ragione, mi trovo a mettermi anche nella posizione "avversa" e, di conseguenza, sento di avere contemporaneamente ragione e torto, perché le mie ragioni mi paiono tanto valide quanto quelle della persona con cui in teoria dovrei litigare. Alla fine non so più se ho ragione o torto...

Se la mia ragazza mi molla, siccome con lei ho un rapporto particolarmente stretto, la situazione si amplifica e le sue ragioni mi paiono così ovvie che effettivamente mi chiedo come posso essere stato un coglione tale senza rendermene conto.

Stare insieme a molte persone mi è sempre sembrato difficile. Un tempo incolpavo la timidezza e l'introversione, ma in realtà credo sia dovuto al fatto che in mezzo a molti la mia percezione viene sovrastimolata, le informazioni che arrivano sono troppe e confuse e quindi il meccanismo va in stand-by in attesa di un momento più calmo. E a quel punto non so più come interagire in mezzo a molti, visto che non so più se si divertono, se gli sto simpatico, se ho detto una cazzata, se se se... e quindi rimane quella lieve sensazione di disagio e basta.

Infine, mi bastano pochi minuti per inquadrare una persona. A quel punto so già cosa cosa mi dirà nella conversazione, cosa le piacerà e cosa no, eccetera. Da ragazzo questo mi provocava una reazione di stizza, perché mi sembrava che tutti fossero orribilmente noiosi e prevedibili, che dicessero esattamente quello che era scontato dicessero, che ascoltassero la musica che ci si aspettava, che leggessero i libri che ci si aspettava.

Tutto questo mi aveva portato a chiudermi in me stesso e a mantenere le distanze dagli altri: doversi subire tutti gli stati d'animo delle persone, introiettare tutti i loro umori, dover gestire la stabilità emotiva altrui, per un ragazzo che già di suo non ne aveva di propria, era troppo. Era proprio un peso che non riuscivo a sopportare.

Quando finalmente ho cominciato a raggiungere un mio equilibrio e ad avere coscienza di essere empatico, gradualmente ho imparato a gestire questa mia "particolarità". Per quanto onestamente invidi la gente "normale", quella che se non gli dici "sto male per questo e questo moivo" non riesce a capire né che stai male né perché, devo dire che se ben gestita può trasformarsi in una abilità utile.

Sapere di chi potersi fidare o no o sapere quale collega sta tramando alle tue spalle e quale è tuo amico è un buon vantaggio nella vita. Non è male nemmeno con le donne, visto che io non sono né fico né ricco, devo usare altri approcci ed essere in grado di dire la cosa giusta al momento giusto, sapere quando la lei ha voglia di parlare, quando ha voglia di uscire, quando ha voglia di fare l'amore, quando ha voglia di coccole apre molte porte.

Chiaramente non ho i superpoteri, non sono infallibile e non sempre funziona. Ma nella maggior parte dei casi sì.

17/07/12

Interludio gamma

Ogni tanto mi piacerebbe essere uno di quegli uomini a cui interessa solo infilare il pene nella prima vagina disponibile. Sai quanto tutto sarebbe più facile?

Invece la vagina di per sé mi interessa relativamente, di donne me ne piace una ogni tanto, ma quando mi piace non riesco più a pensare ad altro. 

E così mi trovo a guardarla. E poi a dover muover via gli occhi perché è così bella che fa male. Ma sento il suo profumo quando è vicina, sento il suo profumo quando è passata in corridoio prima di me. E poi è ancora davanti a me e io non voglio guardarla negli occhi perché mi par di morire, non la posso guardare in viso, perché vorrei affondare le mani tra i suoi capelli e baciare quelle labbra e vorrei sapere che gusto hanno. E penso che lei stia capendo e allora abbasso ancor di più gli occhi. E vedo la curva dei fianchi, la linea delle cosce, la rotondità dei polpacci, la magia delle caviglie, l'ardore dei piedi. E non c'è niente da fare, è confusione in testa e nel cuore.

Fidanzatissima. Da anni. Cercherò di farmela passare. Stupido ragazzino imbecille.

15/07/12

Dodici

Vorrei stabilire un punto fermo. La cosa che mi fa essere restio a parlare con le persone dei miei lati... oscuri, chiamiamoli così, è che la reazione che ne ottengo, nel 99,9% dei casi, è un invito a non pensarla così, a non credere che la vita faccia schifo, a non piangermi addosso e a non pensare che tutto sia orrendo.

Il motivo mi è abbastanza chiaro. Il 99,9% delle persone si piange addosso, pensa che il mondo che l'abbia con loro, diventano tristi per delle sciocchezze e si esaltano per un nonnulla. Per loro avere qualcuno che gli dice di non piangersi addosso - che non c'è motivo, che la vita è bella e che c'è altra gente che ha problemi veri - è utile, perché non ci arrivano da soli. 

Il fatto è che con me questi discorsi non funzionano e mi fanno incazzare, perché io non sono così. Non ho mai pensato di essere una persona sfortunata, né ho mai sentito che la mia vita faccia schifo. Mai, nemmeno nei momenti più bui, mi sono lasciato andare all'autocommiserazione.

Io mi ritengo una persona fortunata, perché sono cresciuto in una famiglia che mi ha voluto bene; ho potuto fare quello che volevo, studiare quello che volevo; sono discretamente intelligente... niente di spettacolare, ma me la cavo in tutte le situazioni in cui mi trovo. Vivo la mia vita con la schiena dritta e lo sguardo alto, quello che ho non lo devo a nessuno e quello che non ho non è per colpa del mondo brutto e cattivo che mi tratta male. 

Ho una vita perfetta? No, perché non esiste in questa realtà una vita perfetta. È una vita così, a volte bella e soddisfacente, a volte sgangherata e senza senso. È la vita che mi sono scelto e questa è la cosa più importante: vivere come si vuole pagandone il prezzo.

E poi c'è che io sono fatto a modo mio. C'è che non ho avuto una giovinezza spensierata, anzi. C'è che a volte ci sono dei giorni in cui l'umore è sotto terra. C'è che mi guardo allo specchio, guardo le vene sui bicipiti e sull'inguine rigonfiare turgide la pelle e mi vedo grasso e anche se lo so che non lo sono, mi sento grasso lo stesso. 

Così quando qualcuno mi dice di non piangermi addosso mi mordo la lingua per non mandarlo affanculo e chiudo il discorso. Ma io non mi sono mai pianto addosso e non ho mai pensato che la mia vita faccia schifo, nemmeno quando avevo voglia di morire e stavo male e mio padre mi urlava addosso qualche insulto di quelli che dovrebbero educarti a diventare un vero uomo (mai provato? È una sensazione fantastica... è come stare in piedi sul parapetto di un ponte e avere qualcuno che ti strattona verso il vuoto invece che verso la strada).

Ho sempre stretto i denti e tirato avanti. E quando qualcuno mi dice che i momenti di tristezza vengono a tutti, vorrei dirgli che è vero, vengono anche a me. Ma essere a letto nel cuore della notte e d'improvviso mettersi a piangere così forte da trattenere a stento le urla, col cuore che batte all'impazzata e il respiro che si blocca in gola no, non capita a tutti. Capita ad alcuni.

E non è autocommiserazione, perché ne farei volentieri a meno. E non è ricerca di attenzione, perché tanto non c'è nessuno a dare una mano in quei momenti. Quando qualcuno mi dice che devo farmi forza, io vorrei dirgli di provare una volta a stare vicino ad un uomo adulto, grande e grosso che sta raggomitolato sul divano a piangere senza apparente motivo. Non se la cava di sicuro con due frasi di circostanza. E nel 99,9% dei casi di fronte ad una scena del genere si alzerà, prenderà la porta e non si farà vedere mai più.

Quindi, per concludere, se qualcuno lascia in questo blog commenti in cui mi dice di farmi forza, non se la prenda a male se li cancello. Gli è che io ho molta più forza di quella che si crede, ce l'ho e l'ho dimostrato a me stesso e non ho bisogno di sentirmelo dire da chi nella vita diventa triste perché di tanto in tanto ha bisogno di autocommiserarsi e per questo pensa che tutti gli altri siano fatti così.



05/07/12

Undici

Il mio rito della domenica mattina è fare colazione e fumarmi una sigaretta leggendo il post settimanale di PostSecret. Lo faccio perché ci sono un sacco di storie di disperazione che si trasformano in storie di gioia e speranza. Storie di gente che ritorna a vivere dopo aver tentato il suicidio, persone che ritrovano l'amore per i propri cari dopo anni di depressione.

Lo leggo perché mi piacerebbe che quella fosse anche la mia storia. Mi piace fantasticare di aver avuto amici felici di sapere che stavo meglio, di essere stato con una ragazza che mi è rimasta vicino nei momenti più brutti e che adesso poteva finalmente condividere i momenti belli.

Perché per me essere uscito dal buio è stato come essere un sopravvissuto al bombardamento di Dresda: un bel giorno la guerra è finita, la dittatura è stata cacciata, la libertà è tornata. Ma c'era la città rasa al suolo, tutto da ricostruire, una vita spazzata via da ricominciare da capo.

La stanchezza, i ricordi, le paure che restano, ma anche la voglia di fare, di vivere, insieme alla fatica, al non sapere da dove cominciare, al doversi abituare ad avere una vita normale che non si è mai avuta.

Sono dimagrito e, crediateci o no, quando diventi magro diventi improvvisamente ironico (da grasso sei sarcastico), colto (i grassi colti si chiamano secchioni sfigati) e un sacco di altre cose buone. O almeno, questo è quello che ti senti dire dagli altri.

Poi cominci a piacere alle ragazze e qui si apre un capitolo del tutto inedito. Quando per anni ti sei sempre sentito dire di no, non hai idea di come ci si comporta quando invece c'è una tipa che con te ci vuole venire. Per prima cosa, non te ne accorgi nemmeno. Non sai riconoscere i segnali, perché non li hai mai visti prima. Se cogli i segnali, pensi di non saperli interpretare, perché nel tuo manuale quei segnali non ci sono - ci sono solo tutte le diverse sfumature del no. Sei un fottuto genio quando si tratta di capire che tipo di due di picche ti stai prendendo - e quando alla fine capisci, non sai che fare, adesso che una ragazza ce l'hai.

La parte più incredibile è quando una ci prova con te e tu scopri che lei non ti piace e tu le devi dire di no. Tu! Che dici di no! Ma che cazzo sta succedendo? Come si fa a dire di no ad una a cui piace? Dov'è nel manuale questa pagina? Sono sicuro che il prof non l'ha spiegato. O forse quel giorno ero a casa a farmi le pugnette... allora improvvisa dai, devi essere onesto ma non farla soffrire. Comprensivo e gentile, ma fermo e irremovibile.

No sai, non è che non mi piaci...

Diocristo stai dicendo le stesse cose che ti sei sentito dire per anni. Nonono!

Cioè, tu sei un'ottima persona...

Che cazzo fai? Non ci provare, non ci provare nemmeno, non osare...

... come amica...

Nooo, sei un pezzo di merda, sei un essere spregevole, non voglio più avere niente a che fare con te.

Non puoi, tu sei me, solo che te ne stai lì a dare consigli e a non fare niente. Io invece devo fare le cose e subirne le conseguenze.

E così alla fine mi sono pure messo assieme ad una. Tra l'altro una ragazza bella e di mondo, con un sacco di amici e amante della vita chic. Non è durata moltissimo a dire il vero, però siamo rimasti ottimi amici ancora a tanti anni di distanza.

03/07/12

Pensiero 1

Quando devi convivere con i mostri dentro, è facile per chi ti sta attorno pensare che il mostro sia tu.

01/07/12

Interludio beta

È molto difficile essere odiato da tutti. Credo anche sia una condizione rara. Può capitare di stare in culo a qualcuno, può capitare di commettere errori e far stare male chi ti sta vicino. Ma riuscire a tenere tutti lontani o a farsi odiare è davvero qualcosa che andrebbe registrato in qualche record.

La parte peggiore è essere consapevoli di ciò e non riuscire a farci niente. Vedo che puoi essere falso, puoi essere un pezzo di merda, puoi averne fatte di tutti i colori eppure c'è sempre qualcuno pronto a darti una mano, a capire, a offrire una seconda possibilità.

Ma io no, non ho mai avuto questi lussi. E quindi devo essere ben peggiore del peggiore pezzo di merda. Di solito vediamo la nostra vita come un racconto in cui noi siamo i protagonisti, e di conseguenza anche i buoni. Io questo l'ho superato da tempo, mi rendo conto di essere una persona pessima.

Tuttavia me ne rendo conto solo di riflesso, nelle reazioni degli altri. Non so, non riesco a capire cosa non vada in me. Ho cercato di cambiare, di migliorare, ho cercato di aiutare chi aveva bisogno, di offrire una spalla a chi piangeva; ho cercato di smussare il carattere, di essere dolce, di essere comprensivo.

Non è servito mai a niente. Sono una pianta nata storta e temo che non ci sarà niente da fare.

12/06/12

Dieci

Al secondo anno di università ero arrivato in fondo. Non avevo più forze, non credevo di poter andare più avanti. C'era ancora un po' di inerzia che mi teneva in moto, ma niente più, quando per caso ho conosciuto una compagna di corso. Una ragazza bellissima ed estremamente intelligente. Ma non intelligente secchiona, proprio sveglia, un cervello acuto di quelli che si incontrano di rado. 

Mi risparmio il lato sentimentale della cosa. Comunque, per la cronaca, ovviamente no, non ci ha pensato minimamente di venire con me. E non a torto, intendiamoci. All'epoca ero uno straccio di uomo, e a meno che lei non avesse voglia di tirarmi su col cucchiaino e fare non so ben cosa, non era proprio possibile che avesse voglia di condividere niente più che un amicizia.

Ma non è questo l'importante. Quello che conta è che stando vicino a lei è successa una cosa strana. Avete presente il film "Qualcosa è cambiato"? La storia di un ossessivo-compulsivo che conosce una cameriera con un figlio malato, se ne innamora a modo suo eccetera, non vi rovino la storia se non la conoscete (ma guardatelo che ne vale la pena). C'è questa scena:



In inglese è meglio:


"Mi fai venire voglia di essere un uomo migliore". Così mi ha fatto sentire quella ragazza. La sua voglia di vivere, di fare, di scoprire, ma non per ottuso ottimismo, mi hanno fatto capire quanto fossi sbagliato io e come invece fosse possibile avere entusiasmo senza essere superficiali.

Così, lentamente, qualcosa ha ripreso a muoversi dentro di me. All'inizio semplicemente ho ripreso a pensare al futuro. Poi, senza motivo, ho deciso di fare una cosa che mai avevo pensato: iniziare a fare sport da combattimento. Non chiedetemi perché, che non saprei darvi una risposta. È una decisione che ho preso forse proprio perché era strana, così poco "da me". Forse, incosciamente, ho pensato che se avessi cominciato ad agire come se non fossi quello che ero stato fino ad allora, col tempo sarei anche stato diverso da quello che ero stato fino ad allora.

Ora, immaginate un secchione, grasso e con gli occhiali, che va la prima volta in una palestra dove ci si allena a menarsi. Ho dovuto farmi violenza, superare la timidezza, la vergogna e tutto quanto, ma ci sono andato. 

E mi ha cambiato la vita. Dopo il primo allenamento mi sentivo rinato. Imparare uno sport da combattimento significa imparare da zero ad usare il proprio corpo. Bisogna reimparare a stare in piedi, bisogna reimparare a muoversi in avanti e indietro. Bisogna resettare tutti i propri movimenti e creare una nuova coordinazione. E tutto questo richiede un'enorme concentrazione mentale. 

Stare un'ora e mezza concentrato sul mio corpo (che mi faceva schifo, tra l'altro) mi ha fatto dimenticare per la prima volta dopo anni tutto quello che mi si era incancrenito nel cervello. Un peso mi era stato tolto dal petto e potevo tornare a respirare.

Non so descrivere la sensazione di non avere, anche solo per il tempo di un allenamento, i tuoi fantasmi che ti perseguitano. L'angoscia... non sentire più la morsa dell'angoscia che stringe, assaporare di nuovo il gusto della vita. 

Più avanti ho cominiciato anche a combattere. E lì è stata la vera rivelazione. Perché combattere ti mette di fronte a tutte le tue paure, a tutte le tue insicurezze, ti fa vedere come reagisci alle situazioni. Solo che non è come fuori dal ring, perché fuori dal ring riesci sempre a nasconderti, a trovare scuse, a far finta di niente. Ma nel ring no, non c'è modo di evitare di sapere come sei.

Il ring ti sbatte in faccia quello che sei veramente e ti mostra le conseguenze del tuo modo di essere. Non è piacevole, soprattutto se sei un secchione grasso, timido ed insicuro. Non è piacevole perché le prendi. Se sei insicuro, le prendi. Se sei timido, le prendi. Se non prendi in mano la situazione, le prendi. 

E quante ne ho prese. Ci ho messo anni a capire e ad accettare come ero. Ma col tempo ho capito cosa dovevo cambiare, a forza di schiaffoni, occhi neri e muscoli doloranti. Le lezioni più importanti della mia vita le ho prese combattendo. Perché nessuno mi diceva che ero una persona meravigliosa però col cavolo che ci passava cinque minuti con me. Nessuno mi diceva che ero tanto intelligente però si metteva col primo imbecille che passava.

No, la lotta mi diceva "sbagli qui, qui e qui. Non fare così, fai cosà." Niente stronzate, niente pillole indorate. Schiaffoni quando porti il peso indietro e cerchi di evitare i colpi per paura di farti male, risultati quando stai ben bilanciato e non hai paura di guardare i pugni che arrivano.  

Personalmente, mi considero un sopravvissuto. Credo che sarei finito presto sotto un metro e mezzo di terra, se non fosse stato per quella compagna di università che ho conosciuto e se non avessi mai indossato i guantoni. Non ho mai ringraziato lei. Oggi è sposata ed ha una bambina e spero un giorno di poterle dire che ho un grosso, grosso debito con lei.

07/06/12

Nove

Ogni tanto mi arriva notizia di qualche suicidio e mi arrivano i commenti delle persone. A volte la reazione è lo stupore di non aver previsto, il chi se lo immaginava, chissà cosa aveva dentro. 

Non credo di sapere cosa abbia passato chi si suicida, ma io non mi meraviglio affatto di questo stupore di fronte a certi suicidi. Perché c'è stato un tempo in cui vedevo nella morte l'unica liberazione e se mi fossi suicidato la reazione di chi mi stava intorno sarebbe stata proprio quella. 

Più o meno da quando avevo sedici ho convissuto con questa merda nella testa. Chiamatela come vi pare, io la chiamo merda e mi scusino le signore. Sto parlando di anni, non di settimane. È andata peggiorando col tempo ed arrivata a farmi desiderare la morte. 

E durante tutto questo tempo nessuno si è mai accorto di niente, nessuno ha mai sospettato che qualcosa non andasse. Non nego di aver fatto di tutto per non farmi scoprire, ma allora devo essere stato un adolescente veramente sveglio per aver preso in giro tutti in maniera così perfetta. E non so - faccio fatica a crederlo. 

Il fatto è che se vai bene a scuola, non ti droghi e non vai a fare festa il sabato sera ti guadagni il biglietto per la santità. Se mangi tanto sei goloso, se stai chiuso in casa con i tuoi libri è perché sei secchione. E questi sono i complimenti. Da quand'ero ragazzino me ne sono sentite dire un po' di tutti i colori. Per me la cosa peggiore era quando mi dicevano che ero stronzo, o misantropo, o qualsiasi variante del caso. Io cercavo solo qualcuno che mi volesse bene, a dire il vero. Non sono mai riuscito a esprimermi molto, lo ammetto. Ma non credo di essere stato peggiore di tanti altri, questo no. Non ho mai voluto male a nessuno, non ho mai giudicato nessuno, non ho mai trattato nessuno senza rispetto.

Simpatico era chi parlava bene, sorrideva tanto e usava la gente per i propri scopi. Io ho sempre parlato poco, sorriso meno e detto le cose in faccia: non proprio la ricetta per vivere in società. Per questo ho scelto come nickname signor Cellophane, perché mi potete guardare e camminare a fianco e non saprete mai che ci sono. 

Ed è anche l'unico motivo per cui scrivo su questo blog. Perché da qualche parte c'è un ragazzino solo e sofferente che sta pensando che morire è meglio di vivere così, e vorrei che sapesse che invece non è solo, che non è il solo, che altri ci sono passati e che no, non voglio raccontargli storie edificanti di unicorni che cacano arcobaleni, perché lo so io come lo sa lui che chi ti sta intorno è raro che ti aiuti. Ma che c'è sempre un modo di uscirne, che quel dolore si può lenire e che la morte non è una soluzione a niente.

02/06/12

Otto

Quando ho preso la maturità, credevo fosse la fine di un incubo. Guardavo all'università come al paradiso perduto, ero convinto che finalmente avrei trovato un ambiente intellettualmente vivo, compagni di studi con cui condividere interessi e idee, professori che mi avrebbero insegnato tanto e bene, che avrei imparato e conosciuto e fatto esperienze.

Mai, mai avrei pensato di potermi sbagliare così tanto. Col senno di poi mi sembra naturale. All'università ci sono quelli che vengono dal liceo e quelli che formano gli insegnanti del liceo; non potevo pensare che l'ambiente sarebbe stato molto diverso.

L'impatto dei miei sogni con la realtà è stato troppo forte. La delusione di essere bloccato ancora una volta in un ambiente asfittico, sterile, senza spunti di interesse si sommò al fatto che non esisteva più quella rete sociale nella quale bene o male ero coinvolto alle superiori. Mi sono ritrovato solo e questa volta per davvero. Solo senza nessuno.

E a quel punto qualcosa si è rotto. Le crepe c'erano già da un po', ma il crollo è avvenuto allora. Con l'università è cominciato il periodo più buio della mia vita e sono scivolato nell'oscurità più densa. Non ricordo nemmeno molto di quel periodo, perché non credo di aver fatto niente a parte studiare, dare esami, mangiare e piangere (oh sì, ed evitare di farmi scoprire che mangiavo e piangevo, ma è sorprendente quanto sia facile nascondere queste due cose a chi ti sta intorno).

Ora, qualcuno potrebbe pensare - anzi pensa all'indicativo, perché lo fanno tutti - che io fossi da solo perché evitavo la gente, e che stessi male perché mi autocommiseravo. No.

È questo che mi faceva impazzire: cercavo, avevo bisogno di qualcuno, ma riuscivo a tenere tutti lontani e non sapevo nemmeno come. E non piangevo perché mi autocommiseravo, ma perché sentivo un dolore così assurdo e intenso che non saprei nemmeno spiegarlo. Era come sentire ogni minuto della tua vita che scorre attraverso il corpo e ti fa male, tanto tanto tanto male. Ed in più non capivo perché, non me lo spiegavo. Non è come il dolore che un lutto provoca, o come quando ti lascia la ragazza: quelli sono dolori veri, hanno una causa e in qualche modo riesci a spiegarli e a sistemarli nell'ordine generale delle cose e a superarli. 

È quando senti questo dolore senza senso che cominci a non starci più molto con la testa. Lo vorresti mandare via, ma non sai neanche indicare dove sia. Non puoi dire "mi fa male la gamba" e non puoi neanche dire "sono così affranto perché è morta una persona cara". E se non lo sai dire e provi a spiegare a qualcuno che stai male, nessuno ti capisce. 

Sto male.
Cos'hai?
Non lo so.
Dove ti fa male?
Non lo so.
Cosa ti senti?
Male. Tanto male.
Ma qui?
No.
Qui?
No.
È successo qualcosa?
No.
E allora non hai niente.
Ma... ma... sto male... tanto...
Ma non hai niente.

E smetti di chiedere aiuto, perché pensi che magari col dolore ci puoi convivere, ma diventare matto no, non te lo puoi permettere. Non parlarne più, nasconditi, e se proprio senti che non ce la fai, vai in cucina. Poi vai in camera e masturbati. Poi dormi, che quando dormi non senti niente.

Dormire, dormire aiuta, quando dormi non senti, non è come una ferita aperta che non ti lascia dormire perché fa male anche quando dormi. Quando dormi non ci sei e non fa male, e se non fa male per qualche ora recuperi le forze per tirare avanti un giorno ancora, fino alla prossima notte. Dormi, un giorno ancora, un giorno in più ce la puoi fare, un'ora alla volta, sessanta lentissimi minuti che non passano mai.

Ho sentito dire che quando ti viene il mal di denti è così insopportabile che faresti qualsiasi cosa e cominci a pensare a strappartelo da solo quel dente, perché quello che conta è che passi il dolore, a qualunque costo.

Quando è la tua stessa esistenza che ti fa soffrire fino alle lacrime... sì, ci arrivi a quel punto. Non importa più niente, conta che il dolore passi, e di sicuro se ti togli la vita passa.

Quel dente non me lo sono mai strappato, ma ho aspettato tanto che un qualche evento me lo portasse via.

20/05/12

Sette

C'è una cosa che mi dispiace molto della mia adolescenza. Che nessuno si sia mai accorto che c'era qualcosa che non andava in me. Stavo male, ero rabbioso, senza amici e nessuno ha mai pensato di prendermi da parte e dirmi "qui c'è qualcosa che non va". 

È che finché studi, non ti droghi e non fai tardi il sabato notte, allora va tutto bene. L'importante è non fare casino, poi quello che ti succede dentro la tua calma e i tuoi silenzi sono fatti tuoi.

Se svuoti il frigo la sera prima di andare a letto è perché sei un golosone e fanno le battute. Se te ne stai per i fatti tuoi è perché sei misantropo (a 17 anni non sapevo neanche che cosa volesse dire, ho dovuto guardare sul dizionario per sapere cos'ero). Se ti piace leggere tanto è perché ti piace (no, è perché non ho nessuno e mi faccio compagnia così. Io avrei voluto tanto passare i pomeriggi a pomiciare, guarda un po').

Quello che mi dispiace è che avrei voluto avere degli anni spensierati, fare le cazzate che gli adolescenti fanno perché sono troppo stupidi per pensare alle conseguenze, fregarmene di tutto e di tutti e soprattutto, soprattutto non pensare.

E invece pensavo e riflettevo, anche perché avevo un sacco di tempo.

Penso che se qualcuno mi avesse aiutato, ma senza fare niente di speciale, solo capire e dire due parole, dare un consiglio utile ogni tanto, magari indirizzarmi verso qualche ineresse, avrebbe potuto salvarmi. C'era ancora tempo allora. 

Invece no, e così sono dovuto andare incontro a tutto quello che è successo dopo.

08/05/12

Interludio alfa

Perché non tiri fuori le palle per una volta, una volta nella vita, e vai a parlarle?

Perché tanto non le interesso, ecco perché.

Ma se ti guarda! È evidente che ti guarda, te proprio.

Mi guarderà perché si diverte a guardare i freak.

Ma quanto stronzo sei? 

Oh, ma l'hai vista? No dico, l'hai vista?

Certo che l'ho vista, è meravigliosa. È una di quelle donne che incontri una volta ogni dieci anni. 

Ecco... e allora secondo te una così viene con me? Ma ti sembra che ci posso credere?

Perché no? Chi ti dice che sei peggio di tutti gli altri?

Ma ti pare? Ce ne sono tanti meglio di me e di sicuro lei può scegliere e se può scegliere sceglie il meglio.

Ma quanto sei stronzo. Vai lì, di' qualcosa e vedi come va...

E come vuoi che vada? Che mi dice di no.

E allora, ti dice di no, e che sarà mai, almeno ci hai provato.

Eh no caro, c'è un limite ai no che si possono prendere. E io l'ho già passato da un bel po' e non ne voglio più, perché diventa umiliante.

Ma brutto stronzo, questa qui non ti dice di no, non vedi che si gira per guardarti ogni volta che passa?

E che ne so io di cosa vedo? Magari sono io che mi faccio le storie e lei non guarda affatto.

Ma te lo dico anche io che ti guarda!

Ma tu sei dentro la mia testa, vedi quello che vedo io, genio.

Puttana la merda, non hai paura a parlare con l'amministratore delegato della tua azienda e ti caghi sotto per parlare ad una ragazza?

Ma so già che poi non riesco a parlare, dico cazzate, poi mi chiudo a riccio e lei mi dimentica ancora prima che mi sia girato.

C'hai 32 anni cazzo e ti comporti come se ne avessi 13.

Oh vaffanculo, non è che mi piace essere così eh. La fai facile tu, perché tanto non sei tu che ci metti la faccia, tu sei solo una cazzo di voce nel cervello.

Sei uno stronzo e passerai tutta la tua vita a rimpiangere le occasioni che tu hai sprecato come uno stronzo.

Lo so già, grazie.

Ascolta, prova a ragionare per una volta. Questa ti piace?

Da morire.

Davvero?

Sì.

E allora vai cazzo, vai e prendi quello che vuoi avere. Devi allungare la manina del cazzo e prenderlo. Se non l'allunghi, la manina ti serve solo a farti le pippe.


Mmmmm... Vabbè magari domani ci provo.

NO diocane, NO. Adesso! Fai! Non domani, non provare. Adesso! Sei proprio uno stronzo.

Vabbè vediamo come va...


15/04/12

Sei

Verso la seconda metà delle superiori cominciai a cercare un po' di sollievo da tutto e da tutti e lo trovai nel fondo degli istinti umani: cibo e sesso. Progressivamente cominciai a mangiare sempre di più per lenire l'ansia. Zucchero principalmente, dolci, cioccolata. E a masturbarmi.

Se dovessi descriverla, la solitudine per me è la puzza di sperma rappreso su un fazzoletto. È il gusto acido in bocca per i troppi dolci mischiati a fumo di sigaretta. È andare a pisciare con l'uretra che brucia. È l'odore di capelli non lavati. È il guardarsi, vedersi grasso e andare in cucina un'altra volta. È la costante preoccupazione di aver buttato via i fazzoletti sporchi perché tua madre non li trovi. È il saper aspettare il momento giusto per andare in cucina quando nessuno ti sente. 

La solitudine è un mondo di odori sgradevoli, dove il tuo corpo produce sperma e grasso, dove tu produci sperma e grasso. Dove ti fai male da solo, ma non riesci a smettere perché l'unico, momentaneo, evanescente sollievo dal dolore è il male che ti fai da solo.

E dove cominci a convicerti che effettivamente gli altri hanno ragione se ti stanno lontani. Basta guardarti allo specchio, basta annusare l'aria intorno a te, quale migliore ragione ci potrebbe essere?

05/04/12

Cinque

Un'altra grande fonte di frustrazione per me è stato il liceo. A me piace, è sempre piaciuto, imparare. Non studiare, ma imparare, finire la giornata cosciente di sapere oggi una cosa in più di ieri. Ma la scuola non mi dava quello che cercavo. 

Seguivo queste lezioni che mi parevano insipide, senza senso. Mi pareva di non imparare niente o, al massimo, aspetti marginali delle materie. Ero convinto che un liceo classico dovesse darci molto, molto di più, e mi sentivo come se stessi perdendo tempo.

Ma all'epoca non avevo gli strumenti culturali per spiegarmi questa sensazione. Credevo semplicemente di avere una spiccata componente di cazzeggio che mi faceva annoiare. All'epoca poi non avevamo internet e per cercare di sapere cosa leggere o avevi i professori che te lo dicevano, o qualcuno ti suggeriva qualcosa, o vagavi in libreria sperando che quello che ci trovavi fosse valido, perché le librerie sono piene di libri orrendi scritti solo per fare soldi.

Oggi purtroppo capisco il perché. È che a scuola, a fare gli insegnanti, ci vanno quelli che non sanno che altro fare nella vita. Capita qualche insegnante bravo, ma lo mandano alle scuole dove ci va la gente bene. Se vieni dalla plebe ti devi accontentare di un impiegato statale svogliato e ignorante, che non assumeresti nemmeno per venire a fare le pulizie a casa tua. 

E parlo con cognizione di causa, perché ho studiato anche io e so quello che dico. La media degli insegnanti italiani è così bassa che andrebbero semplicemente licenziati in blocco, tutti, per riaprire le assunzioni partendo da zero. 

La scuola italiana è a livello del terzo mondo. Possiamo raccontarci tutte le palle che vogliamo e dirci che forma le menti e tutte le altre belle cose che si dicono, ma la verità è che siamo tagliati fuori dal mondo e stiamo buttando fuori generazioni di ignoranti che non sanno stare al mondo. 

Qualcuno si è mai chiesto come mai tanta gente che esce presto dal sistema scolastico italiano riesce ad avere più successo economico di quelli che studiano fino a 30 anni? Dovrebbe essere l'esatto contrario.

Invece quelli che escono dalla scuola prima, entrano nel mondo prima e imparano prima a muoversi e ad adattarsi alle situazioni. Ma siccome la scuola e l'università italiane sono un mondo lisergico totalmente slegato dal reale, più ci si rimane dentro più si perdono gli strumenti intellettuali per affrontarlo, quel benedetto reale.

Nei fatti quindi chi ha più istruzione ha minore capacità di interpretare il reale rispetto a chi ne ha di meno. È chiaro che chi non ha istruzione su una scala assoluta non domina completamente il reale e non raggiungerà mai chissà quali posizioni nel mondo, perché il suo bagaglio culturale è soprattutto empirico, ma è comunque passi avanti rispetto a chi non ha alcun bagaglio, né empirico né teorico.

Se ci sono così tanti laureati nei call-center non è un caso, o la congiuntura economica. Sono drammi umani di persone che dopo aver studiato per anni si trovano incapaci di affrontare il mondo e si trovano a prendere i primi lavoretti che capitano sotto mano. 

L'unico motivo per cui io non sono finito al call center o a fare il precario è che la scuola non mi piaceva e quindi ne sono rimasto sempre ai margini. Ma quasi tutti i miei amici che erano bravi, studiavano e si impegnavano, quand'è stato il momento di affrontare il mondo, sono crollati e adesso arrancano. 

Stiamo rovinando e abbruttendo le migliori teste che abbiamo e ci stupiamo che i furbi, gli scaltri o gli avidi abbiano successo.