15/04/12

Sei

Verso la seconda metà delle superiori cominciai a cercare un po' di sollievo da tutto e da tutti e lo trovai nel fondo degli istinti umani: cibo e sesso. Progressivamente cominciai a mangiare sempre di più per lenire l'ansia. Zucchero principalmente, dolci, cioccolata. E a masturbarmi.

Se dovessi descriverla, la solitudine per me è la puzza di sperma rappreso su un fazzoletto. È il gusto acido in bocca per i troppi dolci mischiati a fumo di sigaretta. È andare a pisciare con l'uretra che brucia. È l'odore di capelli non lavati. È il guardarsi, vedersi grasso e andare in cucina un'altra volta. È la costante preoccupazione di aver buttato via i fazzoletti sporchi perché tua madre non li trovi. È il saper aspettare il momento giusto per andare in cucina quando nessuno ti sente. 

La solitudine è un mondo di odori sgradevoli, dove il tuo corpo produce sperma e grasso, dove tu produci sperma e grasso. Dove ti fai male da solo, ma non riesci a smettere perché l'unico, momentaneo, evanescente sollievo dal dolore è il male che ti fai da solo.

E dove cominci a convicerti che effettivamente gli altri hanno ragione se ti stanno lontani. Basta guardarti allo specchio, basta annusare l'aria intorno a te, quale migliore ragione ci potrebbe essere?

05/04/12

Cinque

Un'altra grande fonte di frustrazione per me è stato il liceo. A me piace, è sempre piaciuto, imparare. Non studiare, ma imparare, finire la giornata cosciente di sapere oggi una cosa in più di ieri. Ma la scuola non mi dava quello che cercavo. 

Seguivo queste lezioni che mi parevano insipide, senza senso. Mi pareva di non imparare niente o, al massimo, aspetti marginali delle materie. Ero convinto che un liceo classico dovesse darci molto, molto di più, e mi sentivo come se stessi perdendo tempo.

Ma all'epoca non avevo gli strumenti culturali per spiegarmi questa sensazione. Credevo semplicemente di avere una spiccata componente di cazzeggio che mi faceva annoiare. All'epoca poi non avevamo internet e per cercare di sapere cosa leggere o avevi i professori che te lo dicevano, o qualcuno ti suggeriva qualcosa, o vagavi in libreria sperando che quello che ci trovavi fosse valido, perché le librerie sono piene di libri orrendi scritti solo per fare soldi.

Oggi purtroppo capisco il perché. È che a scuola, a fare gli insegnanti, ci vanno quelli che non sanno che altro fare nella vita. Capita qualche insegnante bravo, ma lo mandano alle scuole dove ci va la gente bene. Se vieni dalla plebe ti devi accontentare di un impiegato statale svogliato e ignorante, che non assumeresti nemmeno per venire a fare le pulizie a casa tua. 

E parlo con cognizione di causa, perché ho studiato anche io e so quello che dico. La media degli insegnanti italiani è così bassa che andrebbero semplicemente licenziati in blocco, tutti, per riaprire le assunzioni partendo da zero. 

La scuola italiana è a livello del terzo mondo. Possiamo raccontarci tutte le palle che vogliamo e dirci che forma le menti e tutte le altre belle cose che si dicono, ma la verità è che siamo tagliati fuori dal mondo e stiamo buttando fuori generazioni di ignoranti che non sanno stare al mondo. 

Qualcuno si è mai chiesto come mai tanta gente che esce presto dal sistema scolastico italiano riesce ad avere più successo economico di quelli che studiano fino a 30 anni? Dovrebbe essere l'esatto contrario.

Invece quelli che escono dalla scuola prima, entrano nel mondo prima e imparano prima a muoversi e ad adattarsi alle situazioni. Ma siccome la scuola e l'università italiane sono un mondo lisergico totalmente slegato dal reale, più ci si rimane dentro più si perdono gli strumenti intellettuali per affrontarlo, quel benedetto reale.

Nei fatti quindi chi ha più istruzione ha minore capacità di interpretare il reale rispetto a chi ne ha di meno. È chiaro che chi non ha istruzione su una scala assoluta non domina completamente il reale e non raggiungerà mai chissà quali posizioni nel mondo, perché il suo bagaglio culturale è soprattutto empirico, ma è comunque passi avanti rispetto a chi non ha alcun bagaglio, né empirico né teorico.

Se ci sono così tanti laureati nei call-center non è un caso, o la congiuntura economica. Sono drammi umani di persone che dopo aver studiato per anni si trovano incapaci di affrontare il mondo e si trovano a prendere i primi lavoretti che capitano sotto mano. 

L'unico motivo per cui io non sono finito al call center o a fare il precario è che la scuola non mi piaceva e quindi ne sono rimasto sempre ai margini. Ma quasi tutti i miei amici che erano bravi, studiavano e si impegnavano, quand'è stato il momento di affrontare il mondo, sono crollati e adesso arrancano. 

Stiamo rovinando e abbruttendo le migliori teste che abbiamo e ci stupiamo che i furbi, gli scaltri o gli avidi abbiano successo.