24/10/12

Ventitré

Un'anonima commentatrice nel post precedente mi ha chiesto qualche spiegazione in più e sento che le risposte che ho dato non sono sufficienti, così ho pensato di scrivere un post.

Da quando sono ragazzo ho sempre cercato di impostare la mia vita su tre punti fermi: onestà, coerenza e onore (a 18 anni chiaramente non usavo queste parole, ma fa lo stesso). Ho sempre fatto in modo, qualunque idea mi passasse per la testa, qualunque cosa facessi, di non venire mai meno a questi punti. 

Onestà: non cercare mai una scorciatoia, avere sempre un comportamento cristallino, mai, mai e poi mai fare il furbo, cercare di sgattaiolare in mezzo agli altri.

Coerenza: perfetta corrispondenza tra parola e azione. Fare sempre quello che si dice, finché sia chiaro che la tua parola vale, perché si fonda su azioni corrispondenti alla parola.

Onore: affronta ogni situazione, soprattutto quelle difficili, in modo da non doverti mai vergognare di quello che hai fatto. Spezzati, ma non piegarti.

Questi sono stati i miei comandamenti, che potrei riassumere con la frase "anteponi il giusto all'utile, sempre". Questa è la persona che ho cercato di essere. Ci sono sempre riuscito? No, perché siamo uomini e la perfezione non esiste. Ci poniamo un ideale di condotta e cerchiamo di perseguirlo, ma sappiamo già che non riusciremo a realizzarlo sempre e del tutto.

Sono un modello da imitare? Mi sento una persona migliore delle altre? No, se qualcuno cerca delle persone migliori a cui ispirarsi, dovrebbe parlare con chi fa assistenza ai malati terminali di cancro, gratis nel tempo libero in cui non sta cercando di pagare l'affitto. Quelle sono persone migliori e di fronte a loro io sono una nullità.

A metterla così, per iscritto su un blog, sembra fichissimo. Sentite come suona bene? "Onestà, coerenza e onore". Potrei quasi innamorarmi di me stesso. Ma poi c'è quella cosa che gli anglofoni chiamano reality check. Cioè, quando si passa dalla teoria alla pratica, cosa succede sul serio?

Succede che quando sei onesto, coerente e onorevole, diventi anche estremamente fastidioso per chi ti sta intorno, perché la maggior parte delle persone non ci pensa nemmeno ad anteporre il giusto all'utile. La maggior parte dei rapporti umani si fonda sul compromesso con se stessi, sul cercare la via facile e sbrigativa e, in ultima analisi, sull'accettare i pessimi comportamenti altrui per fare in modo che gli altri accettino i propri pessimi comportamenti. 

La leggenda narra che per entrare in certe logge massoniche uno dei riti di iniziazione consista nel commettere qualche atto spregevole. In questo modo tutti i membri della loggia hanno qualche cosa da nascondere e il singolo non si metterà mai contro la loggia per paura che il suo segreto venga svelato al mondo esterno. Non so quanto ci sia di vero nella leggenda, ma il meccanismo psicologico che ne sta a fondamento è verissimo. 

Fuori dalla loggia, per così dire, è più facile frequentare persone che si comportano con poca onestà o coerenza, per un motivo molto semplice: essere disonesti è più facile dell'essere onesti, ed essere incoerenti è dannatamente più facile di essere coerenti. Seguire l'utile è la via naturale, seguire il giusto è una scelta che ha un costo. Ma se io frequento persone incoerenti, non percepirò il pericolo che loro poi vengano a rinfacciarmi l'incoerenza. Al massimo si arriverà ad accusarsi di incoerenza a vicenda, ma questa è un gioco a somma zero. Se io accuso te di incoerenza e tu accusi me di incoerenza, alla fine saremo tutti e due convinti di aver ragione e non metteremo in discussione il nostro modo di agire. E quindi posso perseguire la strada più facile anziché quella più difficile.

Ma quando ci si trova fronte una persona realmente coerente, il meccanismo salta e il gioco non è più a somma zero. Se io incoerente accuso un coerente di incoerenza, so già di perdere, perché la mia accusa è falsa e lui mi accuserebbe di incoerenza e avrebbe ragione, quindi dovrei ammettere di essere incoerente.

È come se in una città tutti girassero con la pistola. Siccome tutti hanno la pistola, si arriva ad un punto di equilibrio per cui tutti sono potenziali assassini, ma si trattengono perché sanno che in qualsiasi momento potrebbero diventare cadaveri. Se in questa città un giorno apparisse qualcuno senza pistola ma con il giubbotto antiproiettile, l'equilibrio salterebbe e il tizio col giubbotto sarebbe cacciato dalla città.

Ecco, io sono sempre stato un elemento di disturbo. Perché apparentemente sono una brava persona, non faccio male a nessuno, ma in realtà non sto al gioco cui tutti gli altri giocano. E quindi vengo guardato con sospetto. Non sono ricattabile, non mi piego alla logica della maggioranza, tiro dritto per la mia strada e non sono quindi addomesticabile. 

In tutta onestà credo di avere qualcosa che non va a livello psicologico. Per esempio è dimostrato che all'interno di una massa di persone, il QI dei singoli si abbassa e i comportamenti vengono guidati più dai voleri della massa nel suo complesso che dalla volontà degli individui; in un certo senso il singolo si "scioglie" nella folla e diventa parte di essa. È il motivo per cui ai concerti si percepisce l'atmosfera particolare e ci si lascia andare. Ecco, per esempio, io non sono mai stato capace di provare questo tipo di sensazioni ad un concerto. Io vado lì, sono in mezzo alla gente, la musica mi piace, ma non riesco a perdere coscienza di me, a diventare tutt'uno con il resto degli spettatori. Mi sento sempre io, in mezzo ad un sacco di altra gente che fa cose strane solo perché è davanti a un palco e poi quando la musica è finita smette.

Allo stesso modo non sono mai riuscito ad entrare a far parte dei giri di amici maschi. Si sa, quando si è giovani nei gruppi si fanno cose stupide, che sono stupide ma fanno parte del processo formativo dei maschi, cementano i rapporti tra individui e servono allo sviluppo emotivo e mentale. Io invece non sono mai riuscito ad entrare in gruppo, perché quando si cominciavano a fare le cose stupide, io lasciavo perdere perché appunto erano stupide. Cioè non era la voglia di essere contro corrente rispetto a quel gruppo, era semplicemente che non capivo come mai si dovesse fare una cosa stupida... voi fareste mai una cosa stupida solo per ridere? No, perché sprecare tempo a fare cose senza senso? E quindi poi immancabilmente rimanevo escluso dal gruppo, che pensava che io non ne volessi far parte, o qualcosa del genere.

Forse io non ho sviluppato i meccanismi psicologici che fanno in modo di "entrare" in un gruppo, ho un senso del sé troppo sviluppato e quindi non riesco a far entrare il mio io all'interno di una rete di rapporti. Potrebbe essere.
 
Così per molto tempo l'essere sistematicamente escluso mi ha fatto soffrire. Soprattutto perché affrontavo il problema dalla parte sbagliata. Mi dicevo che se mi escludevano era perché non ero abbastanza onesto, coerente, onorevole. Confondevo le mie aspettative riguardo a me stesso con le aspettative che gli altri avevano. E più mi sforzavo di migliorarmi secondo i miei standard, più mi allontanavo dai loro.
 
A questo punto potrebbe sembrare di stare a leggere la biografia del superuomo di Nietzsche, ma non è così. Benché risoluto nei miei propositi, sono sempre stato una persona relativamente fragile. Ed infatti la disciplina morale che mi imponevo ha dovuto convivere con depressione, disturbi alimentari e un sacco di altre cose poco piacevoli.

Cosa c'entra tutto questo con il post precedente? C'entra, perché per anni non ho mai capito se stavo facendo le scelte giuste. Il feedback che ricevevo era sempre negativo: chi mi stava attorno o si teneva lontano o, al massimo, mi diceva che ero troppo rigido, che non cercavo il compromesso. Mi sono sempre sentito dire che ero sbagliato e che non andavo bene. Non è mai capitato, non una volta, che qualcuno mi dicesse "mi piaci perché hai la schiena dritta, perché sei coerente". Ma ho tenuto duro, ho mantenuto fede ai miei comandamenti e ho accettato di pagarne il prezzo. Però ho sempre avuto la sensazione di essere sbagliato, di non andare bene e quindi avevo questa insicurezza di fondo che pesava tanto sullo stomaco.

Quello che nell'ultimo anno è cambiato è che mi sono reso conto che tutti questi anni in cui non ho mai scelto la via più facile, ho sempre evitato le scorciatoie, mi hanno preparato a quello che sarebbe venuto in futuro. Ora che sono un uomo e che vivo nel mondo vero, dove i problemi sono reali e non si possono più schivare, non ho alcun problema ad affrontarli. E invece tutti quelli che una volta mi dicevano che ero troppo serio, che ero troppo rigido, che non cercavo il compromesso, adesso passano le giornate a farsi a prendere a pugni dalla vita e non sanno che fare.

Quando l'anno scorso la mia fidanzata mi ha messo di fronte ad una scelta, per cui io sarei dovuto diventare quello che lei voleva oppure mi avrebbe lasciato, non si è resa conto che questo ricatto con me non poteva funzionare: a me non fa paura rimanere da solo, perché ci sono abituato. La prospettiva di rimanere da solo non mi spaventava, sapevo benissimo cosa fare della mia vita senza di lei. Con lei ci stavo perché ero innamorato, perché volevo condividere spazi e progetti e non perché mi serviva per riempire i vuoti e compensare le mie insicurezze. Quando mi ha ricattato, per il fatto stesso di avermi ricattato, ha dimostrato di non voler stare con me, ma che le servivo per soddisfare certe sue necessità (avere un figlio, avere un sostegno per le sue insicurezze). E quello io non lo chiamo amare, lo chiamo usare.

Così l'ho lasciata andare. Potevo salvare il rapporto, potevo scegliere la via facile, potevo scendere a compromessi con me stesso, ma per me è stato del tutto naturale scegliere la via giusta, accettare che il rapporto non si fondasse più sulle giuste premesse e lasciare che entrambi andassero per la propria strada. E quando è successo, tutti si sono stupiti di quanto fossi stato forte e bravo, mi ammiravano per aver avuto il coraggio di fare la scelta che era, anche per loro, quella più logica e giusta. Invece per me è stata una scelta normale, come infinite altre che ho fatto dai tempi del liceo.

Significativamente nessuna di queste persone si è particolarmente preoccupata per me, perché nella loro visione il fatto di aver fatto la scelta giusta ed aver reagito fermamente alla situazione non ha comportato sofferenza. Invece è tutto il contrario: le scelte giuste sono le più dolorose e quella scelta, giusta, mi è costata tanto dolore. E sono consapevole che è costata tanto dolore anche a lei e ora convivo con la consapevolezza di averla fatta soffrire.

Ma se avessi scelto altrimenti, avrei preso la strada facile. Sarei rimasto con lei, per viltà, per quieto vivere, per abitudine. Ma stare con lei per questi motivi sarebbe stata la più grande mancanza di rispetto nei suoi confronti, e io non contemplo di venire meno ai miei comandamenti.

Nel corso di quest'anno ho conosciuto altre persone e mi sono trovato spesso, due volte in particolare, di fronte al medesimo ricatto: o facevo come dicevano loro, o sarei rimasto da solo. E lì ho capito. Che tutte queste persone si frequentano, si dicono amici, solo per paura di rimanere da soli. Diventa difficile per loro affrontare qualcuno che non cede al ricatto, perché quello è l'unico perno su cui far leva nella loro vita. Tolto il fulcro, casca tutto.

In quest'anno in cui mi sono messo in discussione, ho compreso i motivi del mio perenne conflitto con gli altri. Soprattutto ho visto che la differenza tra me e loro è una sola. Io, quando loro si divertivano e facevano la bella vita, quando mi accusavano di essere troppo intransigente e troppo serio, mi sono preparato per la vita adulta; oggi, passato il tempo di divertirsi, oggi che la vita ti mostra la faccia dura, io la affronto con serenità, mettendo tutto nella giusta prospettiva, e loro invece non sanno da che parte voltarsi. La maggior parte delle persone che conosco continua ad affrontare la propria esistenza nell'unico modo che conoscono: sfuggendo alle responsabilità, cercando di evitare le conseguenze delle proprie azioni, vivendo come degli eterni adolescenti.

Solo che il tempo in cui a comportarsi così in qualche modo la si faceva franca è passato. E così loro sono invischiati in relazioni malsane da cui non si possono togliere per paura di rimanere soli; probabilmente si troveranno a 40 o 50 anni da soli lo stesso, perché certi esiti sono inevitabili, e allora ci sarà poco da fare. Si trovano a non essere capaci di stare in un posto di lavoro, perché non sono mai stati abituati a seguire il dovere a scapito del piacere immediato.

Io invece ho passato qualche anno duro, ma da ora in avanti mi godrò la vita nel senso più vero e profondo. Io adesso vivo, non mi lascio vivere; sono quello che volevo essere, non quello che gli altri si aspettano che io sia; non dipendo da nessuno; sul lavoro non ho problemi ad affrontare capi stronzi e colleghi infami, perché non sono ricattabile, non ho mendicato per avere il posto e non ho fatto il furbo alle spalle di qualcun altro.

Insomma, adesso sono sereno, perché in un mondo di gente con la pistola, io me ne vado in giro disarmato e col giubbotto antiproiettile: non diventerò mai un assassino, ma non riusciranno nemmeno a farmi fuori.





 

4 commenti:

  1. Ah, che rarità un uomo che scriva ventitré con l'accento (e pure acuto, anziché grave).
    "Non sto al gioco a cui tutti giocano": mi sembra un'affermazione integralista, come se tutti giocassero al gioco dell'essere incoerenti, falsi etc. e solo tu avessi l'obiettivo etico di essere una persona d'onore. Io credo che invece ci siano tante persone pulite, ne conosco (o forse sono io un'ingenua che vede tutto rosa). Tante persone, cellophane, anche donne.
    Il pezzo in cui dici della tua fidanzata mi richiama discorsi appena appena fatti con un filosofo 39enne -che mi piace, accidenti!, ma a cui dubito di piacere-, che lamentava la tendenza femminile ad anteporre la procreazione alla relazione in sé.
    La sensazione dei concerti... mi evoca Pirandello. Anche qui, penso ci siano ben più persone di quelle che credi a provare sensazioni simili alle tue, però il problema è che crediamo di esere soli coi nostri pensieri, "strani" (tu dici "ho qualcosa che psicologicamente non va": hai provato a fartelo confermare da uno psichiatra? E se invece fossi solo... fatto così?).
    Pronunci un'affermazione molto intensa, di cui voglio fidarmi, e farla un po' mia: "le scelte giuste sono le più dolorose": sembrerebbe paradossale...io ho fatto una scelta dolorosa e coraggiosa, quella di separarmi dopo 19 anni di matrimonio. Oggi sono sola -ma speranzosissima di trovare qualcuno!- però sento la libertà di non vedermi mai più costretta in una relazione soffocante, come tanti 40/50 enni -maschi, perlopiù- di cui correttamente dici.
    Se fossi capace metterei ora un'icona col sorriso, per dirti "che bello, che un uomo arrivi a dire tutto questo di sé!".
    Grazie per aver meglio esplicitato.
    Le tue parole mi danno carica e speranza.

    Buonanotte!


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  2. E' chiaro che esistono altre persone, io ho parlato di maggior parte. Esiste sempre un minoranza che devia dalla media, nel bene come nel male, ma è abbastanza irrilevante ai fini del discorso generale.

    Non ne ho nemmeno fatto una questione di maschi o femmine, l'esempio della mia fidanzata era solo quello più recente e quello che ha lasciato un segno più profondo.

    E dallo psichiatra ci andrò quando la psichiatria si darà un fondamento scientifico. Prima di allora, non andrò mai da uno psichiatra. E comunque non me lo posso permettere in ogni caso. Il mio era un discorso "statistico": la media delle persone si comporta così, io no; vuol dire che psicologicamente sono diverso.

    Per l'icona del sorriso basta digitare due punti, meno, chiusa parentesi :-)

    Buonanotte a te!

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  3. Le scelte importanti (io non riesco a concepire astrattamente il concetto di "giusto ed "ingiusto") sono sempre difficili e dolorose, è verissimo. E' facile prendere scorciatoie, o nascondersi, poi però ti arriva comunque il conto. Mi piace il tipo di persona che sei, l'unico rischio forse, è quello di diventare un po' "Talebani" (lo scrivo virgolettato per intendere che è ironico), nella propria convinzione. Mi spiego: Non sto assolutamente suggerendo che tu lo sia o lo sia mai stato, ma conosco persone che, in nome della "giustizia" delle proprie scelte a volte diventano eccessivamente rigide e perdono di vista dettagli che potrebbero essere importanti.
    E' vero però che già solo il fatto di sentirti così... soddisfatto di te come persona, mostra che la difficoltà valeva la pena, no?
    Ciao!!

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  4. Ciao Bionda, hai perfettamente ragione, bisogna sempre stare attenti a non diventare estremisti radicali, perché allora si diventa solo delle teste di c...

    Credo e spero di non esserlo, o almeno faccio di tutto per non esserlo.

    Sì, ne è valsa la pena in ogni caso, è che i frutti ci mettono molto tempo per maturare e a volte, mentre si aspetta, sembra che non maturino mai :-)

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